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Sul buon uso della pirateria. Proprietà intellettuale e libero accesso nell'ecosistema della conoscenza   

Sul buon uso della pirateria. Proprietà intellettuale e libero accesso nell'ecosistema della conoscenza


Florent Latrive

Brossura. DeriveApprodi 2005.
ISBN 9788888738758
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Descrizione della casa editrice

"Per la ditta americana Nike, produrre un paio di scarpe Air Pegasus costa 16 dollari; è il prezzo della materia prima, della fabbrica e della manodopera, il tutto subappaltato in Asia sud-orientale, con salari orari molto bassi. Lo stesso paio sarà venduto a 32 dollari ai distributori incaricati di riversarlo sul mercato, una volta aggiunti la pubblicità, gli investimenti di ricerca e sviluppo, gli studi di marketing, le spese di gestione ecc. [...] Il valore dei prodotti si situa sempre più nell'innovazione, nel marketing, nel simbolico e nella creatività, e sempre meno nella fabbricazione. Dappertutto, i prezzi delle merci sono sempre più determinati dall'immateriale e non più dal materiale. Un CD? Duplicarlo equivale a qualche decina di centesimi di euro, contro i 15 o 20 euro del prezzo esposto nei negozi. Un farmaco? Decine, se non centinaia, di milioni sono assorbiti da ricerca e sviluppo prima di poter produrre la prima scatola. Il capitalismo moderno si è precipitato verso una nuova frontiera: la conquista dell'intangibile, l'appropriazione dell'impalpabile. Da meccanismo destinato alla protezione di autori e inventori, la proprietà intellettuale è diventata uno strumento per ricavare un sempre maggiore plusvalore incorporeo. La mercificazione non va cercata altrove. I brevetti sul vivente trasformano la vita in un oggetto di scambio commerciale, il prolungamento dei diritti d'autore consegna alle imprese una parte sempre più ampia del patrimonio culturale e l'attribuzione di titoli di proprietà sui risultati della ricerca scientifica sostituisce il libero accesso con dei pedaggi. Le barriere a pagamento non fanno che aumentare: i bersagli sono lo scambio, la cooperazione e la gratuità, quegli spazi non redditizi e non quantificabili che sono ormai sistematicamente sfruttati. Ci sarebbe da preoccuparsi se questo imponente fenomeno non portasse, per converso, a un allargamento sempre maggiore della gratuità e della cooperazione, facilitato dai progressi tecnologici. Alla mercificazione della musica - cataloghi ultraconcentrati in mano a quattro major multinazionali e marketing onnipresente - risponde il 'peer-to-peer' e la condivisione dei propri dischi da parte degli internauti. Alla chiusura dei software made in Microsoft risponde il successo dei software liberi. Alla costituzione di database enormi - coperti dalla proprietà intellettuale - si contrappone la libera disponibilità del web. Al battage pubblicitario per imporre le griffe, le false borse Vuitton e la contraffazione generalizzata...".
Claude è un pensionato bretone di 61 anni colpevole di aver scaricato da internet decine di film, perché su CD occupavano meno spazio che su cassetta. Brianna è una dodicenne americana perseguita dalle major discografiche per aver utilizzato circuiti di scambio gratuito di musica. 10.000 fan tedeschi di Harry Potter, età media 16 anni, sono bloccati da un avvocato mentre svolgono la traduzione dell'ultimo volume della saga che in Germania tarda a uscire. Ecco a chi si rivolge la campagna contro la pirateria informatica e il furto digitale. Major e case discografiche chiedono a gran voce che queste pratiche vengano equiparate al furto, come per qualunque altra merce materiale. La loro battaglia è iniziata e non lesinano su cause legali, denunce e querele. Le loro armi sono le leggi sul copyright, i brevetti e gli accordi internazionali sulla protezione della proprietà intellettuale. Dietro questo vasto movimento repressivo e di criminalizzazione, si cela un'ondata che travolge le consolidate frontiere della proprietà privata. Conoscenze, saperi, gesti, farmaci, tecnologie e ogni forma di innovazione possono essere ridotti a pura merce. Oggetto delle mire espansionistiche di questi nuovi redditieri è l'immateriale. Ma contro Sony, Glaxo, Nike, Microsoft e Disney è comparso un movimento che, in nome del libero accesso e dei beni comuni, rivendica il diritto a godere della ricchezza sociale che tutti contribuiscono a produrre. Un movimento che nella difesa della sfera pubblica, e nella gratuità delle conoscenze da questa prodotte, vede l'ultimo argine alla brama di profitti dei mercanti.



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